La brutalità della violenza di genere non risiede esclusivamente nell’abuso fisico, ma anche e soprattutto in ciò che lo precede che, in un certo senso, lo preannuncia e ne costituisce la base. 

Il femminicidio, che diversamente dagli altri abusi ha un forte impatto mediatico, non è altro che l’estrema declinazione di un tipo di violenza molto più radicata di quanto sembri nella società. Una società che, con il suo assetto fortemente patriarcale, legittima la violenza quotidiana, martellante e subdola di cui, per assurdo, nel mondo 1 donna su 3 è vittima. Ed è così sistematica e multiforme che diviene difficile rendersi conto del problema ed estirparne la radice, poichè l’aleatoria tendenza comune è normalizzarla. È necessario, dunque, allargare il campo e far rientrare le varie forme di violenza di genere in una dimensione più ampia, una piramide alla cui sommità si trovano femminicidi e stupri, mentre nei gradini inferiori si collocano gli atti che provocano danni psicologici o ledono l’autonomia e la libertà della vittima; fino alla base, costituita dall’insieme dei comportamenti che portano ad una normalizzazione collettiva delle disparità di genere. 

Se si prendesse allora in analisi ogni singolo livello della piramide, verrebbero alla luce molti fenomeni che si antepongono alla violenza più esplicita risultando di gran lunga meno evidenti. Partendo dall’apice e procedendo verso il basso, pertanto, ci si imbatterebbe, ad esempio, in coercizione riproduttiva, violazioni del consenso, stalking e violenza economica. Proprio quest’ultima è uno dei soprusi più sottovalutati e subdoli, nonostante sia estremamente diffusa (un’indagine Ocse-Infe del 2020 ha riscontrato che in Italia il 13,7% delle donne risulta a rischio violenza economica): si manifesta quando nelle relazioni intime e familiari l’uomo soggioga psicologicamente la donna, privandola della propria autonomia finanziaria per legarla a sé. Nella sfera pubblico-sociale, invece, si rivela attraverso disparità nelle opportunità lavorative e divario salariale, generati da stereotipi che marginalizzano il ruolo delle donne e le allontanano dal mondo del lavoro ostacolandone l’indipendenza economica. 

Ebbene, sarebbe auspicabile svolgere una riflessione collettiva e mettere in discussione il privilegio e il potere tradizionale maschile, anacronistico e penalizzante sotto ogni punto di vista (economico, sociale o familiare che sia). 

La dirompente necessità di smontare gli assunti e i luoghi comuni che formano la base della piramide deve dunque tradursi in un cambiamento capace di interessare le abitudini sociali, a partire dall’educazione, dal linguaggio e dall’attenzione nei confronti di tutti gli abusi, anche quelli che si tende a normalizzare. Perché la violenza non è una diretta conseguenza dell’odio, ma del fatto che non ci occupiamo dell’odio e lo releghiamo nella brutalità, nei raptus momentanei (che spesso sono giustificati con la classica retorica del “se l’è cercata!”) o nella perversione, mentre, purtroppo, l’intero contesto socioculturale in cui viviamo è intriso di violenza, peraltro legittimata.  

Beatrice Teresa, 4B

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