Recensione (senza spoiler) del primo libro della saga di “l’Attraversaspecchi”
Nelle montagne russe (se ci siete andati lo sapete bene) il momento più terrificante, adrenalinico ed entusiasmante non è la ripidissima discesa o l’interminabile giro della morte: è la salita. Si sente una morsa allo stomaco, fortissima, che lo stringe fino a quasi svuotarlo; si sente il battito del cuore in gola, nelle tempie, nelle orecchie, che risuona ovunque velocissimo; e poi c’è l’attesa. L’attesa, una salita che sembra interminabile. Lì dove i pensieri schizzano da tutte le parti, persi nel confine tra l’urgenza del porre fine a quello stato d’ansia ed il desiderio che esso non finisca mai.
Fidanzati dell’Inverno, primo libro della saga dell’Attraversaspecchi, è esattamente questo: una montagna russa. E non una per bambini, che a Gardaland o a Rainbow etichetterebbero come verde o gialla. Geniale opera d’esordio dell’ormai celebre Christelle Dabos, Fidanzati dell’Inverno è una montagna russa di quelle di un rosso così scuro da perdercisi dentro, una di quelle con una salita quasi eterna.
È attesa. Non può essere descritto diversamente poiché, come ogni primo libro di una saga, si tratta per lo più di attesa. Attesa che si arrivi al dunque, attesa che i personaggi maturino, attesa di uno momento topico che sembra non arrivare mai. E mentre ci si perde nella speranza di questo spannung, ci si rende conto che, nonostante la lentezza del ritmo, di climax ce ne sono più che in libri come Harry Potter o Percy Jackson.
Fidanzati dell’Inverno è infatti ricco di colpi di scena: Ofelia, nata ad Anima, dove gli oggetti hanno quasi più emozioni degli umani, viene promessa sposa contro la sua volontà a Thorn, uno sconosciuto di una terra lontanissima. E dal momento in cui Ofelia sale su quel dirigibile verso il Polo e si lascia la sua vita e la sua famiglia alle spalle, ogni capitolo è una sorpresa, ogni parola una scoperta.
Tuttavia la Dabos è una maestra della suspense, e non ci sorprende solo nella trama: la vera chiave di volta del romanzo sono i personaggi. Personaggi che si nascondono dietro le proprie apparenze e che tuttavia non hanno paura di far sentire la propria voce. Ofelia, inizialmente minuta, scura, anodina, si rivela dotata di una tenacia, sagacia e coraggio sbalorditivi. Thorn, con i suoi silenzi e il suo carattere scorbutico, in fondo è meno rigido di quanto si pensa, mostrando di avere tanto amore da donare. Personaggi che sono di mille colori, così profondi da far nascere la sensazione di poterli toccare, attraverso l’inchiostro, attraverso la carta. Nemmeno nelle comparse manca un particolare capace di renderle uniche. Il prozio con il suo archivio, Berenilde con la sua immutabile bellezza, Renard con la sua ingenuità… Nulla è lasciato al caso, nessuno viene lasciato indietro.
È fondamentale anche la morale, quell’ironia e quella critica alla società di cui Manzoni sarebbe così fiero: la vernice sopra lo sporco dei Miraggi, che nascondono gli intrallazzi di corte dietro convenevoli e sorrisi di cortesia, sono perfettamente contrapposti ad Archibald che, con i suoi vestiti stracciati e il cappello bucato, riesce ancora a mantenere fascino ed eleganza.
E come dimenticarsi dello stile della Dabos? Elegante ma semplice, ricco di termini ricercati che tuttavia non risultano ridondanti, poiché inseriti in periodi semplici e scorrevoli. Unica pecca, le lunghissime descrizioni dell’ambiente circostante che, nonostante dipingano magnificamente il paesaggio in cui si muove Ofelia, talvolta risultano eccessive e spezzano il ritmo della storia.
Fidanzati dell’Inverno strappa sorrisi e lacrime, regala emozioni indimenticabili; e, come in tutte le montagne russe, toccata la cima e giunti all’attimo prima della discesa, state sicuri che non vi sarete pentiti dell’attesa per la salita.
Francesca 2 SINT