IL MOSTRO CHE COLPISCE ANCHE DI GIORNO

Roma, 8 Novembre 2021

“Francy, tuo fratello è positivo.” 30 giorni. Sono trascorsi esattamente 30 giorni da quando mia madre mi ha chiamata preoccupata avvertendomi del fatto che mio fratello fosse risultato positivo al virus da Covid-19. Già, proprio così, il mostro di cui tutte le testate giornalistiche e telegiornali parlano da quasi due anni è arrivato anche nella mia famiglia.

Se è stato come me lo aspettavo? No. Questo virus ha portato più scompiglio nella mia vita di quanto potessi mai immaginare. La sofferenza, l’impotenza e la solitudine sono solo tre dei grandi ostacoli che abbiamo dovuto fronteggiare in questo mese di separazione dal mondo reale. All’inizio, quando ancora la notizia era fresca nella mia mente, pensavo che ne saremmo usciti facilmente, senza problemi e in tempi relativamente brevi. Adesso, dopo un mese che vengo vista come “quella positiva” da parenti, amici e medici, capisco che in fondo così semplice non lo è affatto. In realtà, non ho mai avuto paura del virus, ho sempre pensato che anche prendendolo ne sarei potuta uscire in maniera tranquilla, serena, senza grandi ostacoli o problemi. Adesso, invece, sono tre le cose che mi spaventano: il virus, il tempo e la parte formale legata a questo. 

Il “Covid”, visto da fuori, da chi non lo ha mai contratto e da chi non ha mai visto i propri parenti stare male, può sembrare una di quelle influenze stagionali che colpisce i più deboli. Anche io prima ero di questa opinione. Ora posso solamente dire che vedere mio fratello di quattordici anni su un lettino dell’ospedale con aghi, macchinari e flebo intorno non è stato lo scenario che pensavo potesse accadere a noi ragazzi. Proprio noi adolescenti, quelli “super forti”, “imbattibili”, con degli “anticorpi di ferro”. Eppure, la realtà del Covid-19 è proprio quella che si vive negli ospedali, soprattutto quelli pediatrici. 

Il tempo, non come scorrere delle lancette, dei minuti, delle ore, ma come attesa di diventare negativi, di poter tornare alla normalità, è una cosa che tutt’oggi mi spaventa. Sì perché, alla fine, la “regola dei 21 giorni” in cui io tanto speravo, non mi ha assicurato niente. Nonostante fossero trascorse le tre settimane, in cui ero identificata come “soggetto positivo a lungo termine”, io a scuola, in presenza, con i miei compagni, non ci sono potuta tornare. Posso solo assaporare quel clima scolastico, quell’ “aria viziata” sempre presenti nelle nostre aule, solo dal mio computer, mentre seguo le lezioni in DAD dalla mia sedia che adesso, dopo settimane passate sedutaci sopra, mi inizia a stare scomoda. Questo perché, in realtà, la burocrazia che sta dietro a tutta questa faccenda del Covid e le tempistiche relative a ciò, sono ben diverse da come me le immaginavo. Bisogna aspettare ore ed ore ai Drive-in per sottoporsi al tampone (esclusivamente) molecolare; bisogna aspettare ore agonizzanti per il risultato di questo test; bisogna aspettare che i sintomi passino; bisogna aspettare che i fatidici ventuno giorni passino; bisogna aspettare che il medico ti risponda, che valuti cosa è meglio fare, che emetta il certificato medico; bisogna aspettare che il Green pass venga elaborato, che si possa tornare alla normalità. Bisogna aspettare l’esito negativo del tampone. Bisogna aspettare per tutto. Persino per vivere. 

Questi dovrebbero essere gli anni migliori per la mia generazione, gli anni più floridi della nostra vita. Gli anni spensierati, senza preoccupazioni, durante i quali il problema maggiore è decidere dove uscire il sabato sera o se andare o meno in vacanza con le amiche. Tutti questi anni, il brivido della libertà che ci è stato sempre più sottratto, quando ci verranno restituiti? 

Oggi, posso assicurare che il Coronavirus è peggio di una semplice pandemia. 

Avete presente quando da piccoli avevate paura del buio e facevate lasciare sempre una lucetta accesa dai vostri genitori così che il mostro sotto al letto non vi mordesse i piedi? Ecco. Questo virus è come il mostro, ma non si lascia intimorire da un bagliore di luce accanto a voi, lui attacca lo stesso.

Francesca 4^G

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