Varcando la soglia della Fortezza Colonna del XVI secolo, non si può rimanere indifferenti al clima sereno che accomuna chi vive e chi lavora in quell’ambiente.
L’impressione che abbiamo avuto è che il punto di forza dell’Istituto è l’educazione: le giornate dei detenuti sono infatti occupate da attività volte a sviluppare o conoscere le proprie attitudini. Abbiamo ad esempio avuto la possibilità di assistere ad una rappresentazione teatrale che trattava dell’unione dei mondi della delinquenza e della malattia e della condizione del condannato che collaborando si priva della sua identità. Ciò che ci ha colpito in modo particolare è l’impegno tangibile da parte di coloro che hanno realizzato lo spettacolo: si intuiva che la
preparazione avesse impiegato non poco tempo e fatica. Inoltre ci è rimasto impresso soprattutto il legame fra la direttrice, la sua squadra e i detenuti. Da una parte c’è la voglia di costruire qualcosa insieme e dunque anche di uscire dai limiti della propria cella tramite la conoscenza, e dall’altra la gratitudine per la dedizione, la creatività, la tenacia e la sensibilità di chi riesce a vedere del potenziale in coloro
che hanno sbagliato e scelto di rimediare.
Il tema cardine del progetto a cui abbiamo partecipato era la scelta; quella di chi nasce in un contesto di criminalità e decide di cambiare o al contrario chi rimane legato a quei valori con cui è cresciuto. Nei diversi incontri a scuola, la direttrice si è soffermata proprio sulle difficoltà che attraversa chi alla fine passa dalla parte del “nemico”, cioè lo Stato: dalla perdita dei propri familiari a quella di sé stessi. Ciò che è fondamentale durante il periodo di reclusione per ritrovare la propria identità è quindi scoprire e sviluppare le parti ancora sconosciute della propria personalità attraverso lo studio del mondo che ci circonda, ma anche la pittura, la manifattura o il teatro che offre la possibilità di far nascere delle passioni ed esprimere i propri pensieri. C’è chi ad esempio ha scoperto di avere una predisposizione per l’arte in quanto precedentemente non ha mai potuto prendere un pennello in mano, oppure c’è chi si è avvicinato ad una materia di studio in particolare ed è riuscito a conseguire una laurea. Al termine della rappresentazione gli attori ci hanno invitato ad indossare le loro maschere e a seguirli in scena con la fronte rivolta al pubblico.
In quell’istante abbiamo compreso veramente come ci si sente a vivere la loro realtà e ad essere costantemente sottoposti al giudizio altrui; è stato un momento di forte emozione. Alla fine della visita a Paliano abbiamo avuto la possibilità di assaggiare le pizze napoletane preparate da alcuni dei detenuti a dimostrazione del fatto che ognuno di loro ha un proprio talento nascosto che, sia grazie a loro stessi sia a chi li
accompagna nel loro percorso nella struttura, può diventare qualcosa di reale. La peculiarità di questo istituto è proprio quella di permettere concretamente ai detenuti di poter ricominciare una nuova vita al di fuori di quelle mura.

Arianna D. B. e Giorgia C.

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