È il 1972.  Alberto Ginulfi, portiere della Roma, para un calcio di rigore a un Campione indiscusso: Edson Arantes do Nascimento, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Pelè.    I due, racconta Ginulfi, si erano già incontrati cinque anni prima, nell’amichevole tra Roma e Santos del 1966/1967, giocata a Roma nello stadio Flaminio, partita dove Ginulfi partì dalla panchina, ed entrò all’inizio del secondo tempo.                                                                                                                                                                                            

La partita terminò 3-1 per la squadra ospite.  <Parai molti tiri…Pelè era un giocatore super>afferma Ginulfi, ed infatti anche il campione notò le parate effettuate dal portiere della Roma.  A fine partita, lo stesso Pelè chiese all’allora procuratore del Santos, Sannella, chi fosse quel portiere ed egli rispose la riserva. Pelè rimase talmente colpito che  propose ai dirigenti della sua squadra di  acquistare il calciatore romano.  Ma Ginulfi rifiutò. 

 Il 3 Marzo de 1972, la partita sta per cominciare dopo quasi 30 minuti di ritardo, a causa della fila ai botteghini per acquistare un biglietto. 

 <Pensavo solo alla partita. Mentre entravo in campo non ero in ansia, a dir la verità non sentivo nulla, neanche il pubblico>. Così si presenta il calciatore della Roma, concentrato e consapevole, come da lui stesso ribadito, dal momento che per fare il portiere bisogna essere freddi, bisogna saper gestire non solo la difesa, ma l’intera squadra.   <Il Santos era nettamente più forte di noi…perdevamo 1 a 0 quando gli fu assegnato il calcio di rigore che fu battuto dalla parte della curva nord> ricorda Ginulfi, con un po’ di amarezza, avrebbe preferito sicuramente la curva sud con tutti i suoi tifosi.

 Il campione  brasiliano si portò sul dischetto, si preparò, tirò,  ma il portiere romano non si fece cogliere impreparato.                                                                                             

 <Si avvicinò, fece una finta e  piazzò la palla di interno destro alla mia sinistra> così lo racconta Alberto, accennando un sorriso sul volto, ma allo stesso tempo con la stessa freddezza con cui sicuramente si buttò su quel pallone.  Parato il rigore, Pelè si diresse verso di lui per congratularsi:  bellissima la foto di Pelè che pone la sua mano sulla testa del giovane portiere. Al triplice fischio la partita finisce.  il risultato è 2 a 0 per il Santos. Mentre tutti i giocatori si dirigono verso gli spogliatoi, Pelè ferma Ginulfi e gli porge la sua maglietta, che il giocatore ancora oggi conserva “gelosamente”.                                                                                                                                  

L’indomani mattina, il portiere della Roma fu invitato a fare colazione nell’ambasciata brasiliana, insieme alla squadra del Santos. I due non ebbero più il piacere di giocare insieme dopo l’amichevole del 1972, ma dopo tutto questo tempo Ginulfi ricorda ancora con piacere e con orgoglio quel calcio di rigore e soprattutto quel calciatore o, come lo definisce lui,  quel “supercampione” che è stato Pelè. 

Ciò che vi ho appena narrato è una storia che ho sentito molte volte dallo stesso protagonista, ovvero mio nonno Otello, così l’ho sempre chiamato io, un uomo che conosco sotto tantissimi aspetti, ma della cui carriera calcistica ho solo sentito parlare.  

Ho deciso di scrivere questa storia in occasione della recente scomparsa di Pelè, giorno in cui il telefono di casa ha iniziato a squillare: erano giornalisti di varie testate romane che cercavano nonno.  Gli ho chiesto allora di raccontarmi nuovamente del suo incontro con il grande campione e stavolta ho scoperto tanti dettagli della storia che non conoscevo e che mi hanno fatto pensare.

Ho sempre vissuto il  nonno come tale e non lo ho mai visto come un calciatore professionista. Mio nonno, infatti, è una persona semplice che oltre al calcio ama i film western e la cucina, tra l’altro è sempre stato un ottimo cuoco. Quando ero piccola veniva spesso a prendermi a scuola e io lo accompagnavo a fare la spesa. Ho ereditato da lui la passione per il calcio, questo sì, anche se mi rendo conto che il mondo del calcio oggi è completamente diverso dai tempi in cui il nonno era in attività.  Non riesco a immaginarmi un calciatore di oggi vivere così la sua quotidianità e forse è per questo che quando lo guardo non riesco a raffigurarmelo come il calciatore che è stato un tempo.  

Per me Alberto Ginulfi resterà sempre nonno Otello e io sarò sempre orgogliosa di essere sua nipote.

Giulia 5SA

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