Progresso e tradizione. Grattacieli e aspirazioni verdi. Risorse digitali e  disinformazione. Ci si aspetta dalla nuova generazione che sappia scardinare il paradosso, livellare la contraddizione, ma gli sguardi maturi si riempiono di amarezza alla vista di un nostro immobilismo (per chi apparente, per chi evidente, per chi sofferto, per chi comodo – a ognuno il suo)  di fronte ad una sofisticata ma ipocrita cornice da terzo millennio, dove si dibatte ancora se la terra sia piatta o sferica e se la somministrazione di un vaccino trasformi immediatamente in antenne umane. Ma la diatriba sui giovani e la vittimizzazione della gioventù, quell’arma a doppio taglio di fiducia obbligata e diffidenza qualunquista l’hanno assaggiata i nostri genitori prima di noi e le madri delle nostre madri e i padri dei nostri padri prima ancora – e diciamolo: il “divario generazionale” è diventato vecchio negli anni settanta. Quindi, prima che ci venga detto che non siamo pronti per questo futuro informe, noi stessi ci chiediamo: il futuro è pronto per i giovani d’oggi?

Le premesse non sono delle più rassicuranti. I dati di ogni giorno indeboliscono le promesse per il futuro. Banalmente, non è certo un segreto che il tasso di disoccupazione giovanile raggiunge quasi il 30% , che circa 34 mila tra ragazze e ragazzi sono a rischio abbandono scolastico (stando agli ultimi dati Istat) e che i dati riguardo la salute mentale rimangono allarmanti anche al terzo anno di pandemia (alquanto bizzarro per chi pensava fosse un momentaneo effetto collaterale). Per non parlare della “fuga dei cervelli”, che ironicamente solo il covid è riuscito a rallentare, o quasi: l’8% in meno e non ci piove, ma sempre 112 mila nel 2020. Il dato ci riguarda direttamente: nel sondaggio proposto agli studenti del triennio del Volterra (215 risposte ricevute), tra i quali l’88,3% vuole proseguire gli studi all’università e il 9,3% non lo sa ancora (con 1,4% di decisi “no”),  la netta maggioranza di 46,5% ha più volte rimuginato sulla possibilità di fare i bagagli e portare la propria “mente” all’estero sia per motivi di studio che di lavoro, un considerevole 17,2% unicamente per i primi, il 13% per i secondi, non mancano gli indecisi (12,1%) e infine un ristretto 5,6% si ritiene soddisfatto dalle opportunità offerte in Italia e un ulteriore 5,6% non vuole rinunciare alle proprie radici.

 

Tuttavia come scrisse Joseph Conrad, <<Persino la penombra qui brilla di promesse>>. È il vantaggio della gioventù: la fame di esperienza. O meglio, il vantaggio che la gioventù concede al futuro. Ma si tratta di  un ottimismo flebile: alla domanda “Quanta fiducia hai nel futuro?”, la maggioranza degli interpellati, vale a dire un 50,7% appena sufficiente, risponde “abbastanza”, fronteggiati da una grossa fetta (il 29,3%) di “poco”, a cui seguono il 6% di “per niente” e 3,7% di titubanti (“non saprei”). Solo il 10,2% dei volterriani* è da considerarsi entusiasta del domani (“molto”). 

Anche se, dipingendo murales sulle pareti di scuola o guardando fuori dalle finestre delle nostre aule, percepiamo fortemente l’anelito di cambiamento, ogni slancio euforico è inghiottito dal limbo dello scetticismo quando occorre fare i conti con la realtà rabesca e caleidoscopica che prima o poi dovremo essere capaci di affrontare. Abbiamo ormai rinunciato alla fantasia infantile di un manuale di istruzioni su “come vivere” o di un’illuminazione
divina che all’uopo sbrogli il grande mistero delle pedantiche questioni burocratiche. Senza indicazioni o strumenti brancoliamo nel buio, con il rischio di rinunciare a cercare il pulsante per accendere la luce: difficile a dirsi se siano i nostri occhi ostinatamente chiusi o le mani di altri ad ostruire la visione. Che sia vera l’una o l’altra, o con tutte le probabilità entrambe, rimane un fatto che i più (47,2% di “poco” e il 15,9% di “per niente”) ritengono che la scuola non abbia sufficientemente fornito loro le conoscenze necessarie per affrontare il futuro. 

I volterriani* lamentano soprattutto, tra le opzioni proposte, la mancanza di preparazione al mondo lavorativo (73%) ed universitario (46,5%) e la scarsa attenzione all’attualità (66,5%), a cui il 48,4% dei consultati si ritiene “abbastanza” interessato ed il 20% addirittura “molto”. Inoltre, alla luce di quanto detto, non dovrebbe stupirci che in numerosi (come hanno testimoniato le estremamente simili risposte alternative ricevute) preferirebbero che il mondo scolastico garantisse loro uno spazio dedicato all’educazione finanziaria e sentimentale. D’altronde i numeri parlano chiaro: le esigenze dichiarate coincidono con l’ordine di priorità stabilito dai nostri studenti, tra cui le più quotate risultano essere, immediatamente dopo la salute (58,6%), il lavoro (51,2%), il mantenimento dell’equilibrio tra vita privata e lavorativa (43,7%) e la sicurezza economica (42,8%).

I FIDUCIOSI

 

I MENO FIDUCIOSI

 

 

Se i più speranzosi (coloro che ripongono “molta” o “abbastanza” fiducia nel futuro) sono perlopiù (63,4%) altrettanto fiduciosi che i loro interessi personali possono essere proiettati in un futuro ambito lavorativo, tra i più sfiduciati (che hanno “poca” o “nessuna” fiducia nel futuro) il 40,8% di “sì” risulta in minoranza se paragonato alla somma del 28,9% di “non lo so”, il 18,4% che “teme di no” e l’11,8% che li reputa “fini a sé stessi”. 

I FIDUCIOSI

 

I MENO FIDUCIOSI

 

Ebbene che si tratti dei fiduciosi o i diffidenti dell’avvenire, lo scenario muta ma non troppo tra le due categorie quando gli viene chiesto se la scuola stimoli i loro interessi: se nel primo caso, un sommesso 22,1% di “abbastanza” si ritrova ad arginare la travolgente onda di “poco” (46,6%) e “per niente” (29,8%), nel secondo il mucchietto impopolare di “abbastanza” (5,3%) quasi sfugge all’occhio sovrastato dagli imponenti 46,1% di “per niente” (che in tutto il sondaggio non ha mai raggiunto queste cifre) e il 47,4% di “poco”. Insomma le note stridono se indossiamo le lenti degli studenti per guardare alla scuola, il cui ruolo gli interpellati ritengono essere principalmente “luogo di apprendimento e arricchimento personale e culturale”, secondo un 41,4% prevalente per un soffio, piuttosto che un “trampolino di lancio per futuri sbocchi lavorativi” (7,4%), anche se per un 40,5% decisamente notevole risulta essere “entrambe” e per un ristretto ma comunque significativo 10,7% “nessuna delle precedenti”. 

Ne traiamo un’immagine spinosa delle nostre aule, come stanze avulse dal mondo fuori, oltre che da quello qua dentro. E proprio perché noi non ci siamo presi la briga di riservarci lo stesso trattamento e abbiamo sorvolato sull’interrogarci riguardo la nostra adeguatezza, forse prevedendo qualche dato altrettanto fastidioso, ci aspettiamo che la scuola illumini prima di scrutarci analiticamente, che ci sproni a cercare l’interruttore della luce, che eviti che certi si appoggino sulla fallace protezione dei comfort. Invece, per quanto pertiene la palingenesi che da noi ci si aspetta e che noi ci auspichiamo, non c’è modo di sfuggire: sono le nostre maniche a dover essere alzate. E così, anche non conoscendo la direzione ma si spera con una buona illuminazione, fare i primi passi avanti, ricordando Conrad <<Si va avanti e anche il tempo va, fino a quando innanzi a noi si profila una linea d’ombra ad avvertirci che bisogna dire addio anche al paese della gioventù >>

 

*nel ricorso a “volterriani” ci si riferisce ai 215 studenti che hanno risposto al sondaggio.

Creazione sondaggio e raccolta dati:

Gaia, IV G
Giorgia, IV A

Ideato e scritto da:
Giorgia, IV A. 

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