Ci sarebbe bisogno di un’invasione. Forse una rivolta, sicuramente una rivoluzione. Avremmo bisogno di un’occupazione, un affollamento, una penetrazione. Ma forse è più calzante dire un’infestazione, poiché il futuro dell’uomo e del suo spazio abitativo non include nulla di simile alle distopie di Huxley, ma sarà decretato dalle piante. Ebbene sì, quegli esseri inanimati e immobili (per noi) che potrebbero da un giorno all’altro decretare la nostra dipartita se solo si stufassero di produrre ossigeno. La condizione climatica odierna ci costringe a ripensare la nostra idea di Città, ed ad escludere di conseguenza la fuorviante concezione di metropoli di vetro e cemento, tarata sul profitto e la produttività.

Uno dei primi a comprendere ciò è stato Patrick Geddes, stimato botanico che inaugurò una teoria di fisiologia urbana oggi largamente accettata, secondo cui la città è, a conti fatt, una sorta di essere vivente, frutto della storia e risultato della sua evoluzione. Con un pizzico di immaginazione possiamo concepire le strade come arterie che scorrono e irrorano i tessuti sociali, o anche le linee di comunicazione e di trasporto come ramificazioni neurali in grado di connettere l’intero organismo, che lavora autonomamente pur nel suo caos interno. In questo senso anche il funzionamento di una città si basa sul caos, e secondo Geddes, così come uno scienziato non può creare la Vita, un urbanista non può creare una Città. Quest’audace affermazione non può che non farmi pensare a Roma, regina della stratificazione, della confusione e soprattutto della bellezza. Una delle sue peculiarità più suggestive è il rapporto che esiste tra l’architettura e la botanica spontanea. Assistere alla simbiosi di pietre secolari e arbusti regala un dolce sapore di anarchia, che coglie in pieno l’essenza di una città disordinata e multiforme, una metropoli improvvisata che ha senso solo nella sua diversità e ricchezza.  Tornando a noi, oggi i progetti per un’urbanistica più sostenibile stanno evolvendosi, come per esempio la  trasformazione degli Champs-Elysées parigini in un polmone verde programmata entro il 2024, ma anche progetti più freschi come la Smart Forest City, un sistema urbano autosufficiente affidato a Stefano Boeri (ideatore del bosco verticale milanese) da realizzare a Cancun come esperimento sostenibile.

 Ma ora credo sia giunto il momento di incontrare forse il più audace (sicuramente il mio preferito) botanico visionario, questa volta italiano: Stefano Mancuso. Oltre ad essere il fondatore del LINV (laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale), è anche scrittore di vari libri di divulgazione scientifica, tra cui La pianta del mondo, edito Laterza, un saggio illuminante che custodisce un’idea per il futuro, che appare folle ai più: piantare mille miliardi di alberi arginando così la presenza di gas serra nell’atmosfera e migliorando la qualità della vita dei cittadini.  Molti hanno cercato di sminuire o confutare questa proposta, designandola come inutilmente dispendiosa e fin troppo idealista. Ma forse il suo dato rivoluzionario più intimo non consiste tanto nella sua attuazione, ma piuttosto nel suo ruolo simbolico: ci pone infatti davanti alla necessità di ripensare lo spazio urbano e umano, che inglobi dentro di sé quella Natura nemica fin dalla notte dei tempi, che deve cessare di essere assimilata al pericolo per eliminare finalmente la dicotomia Umano o Naturale, frutto di retaggi di ancestrale sopravvivenza mischiata al più becero capitalismo che oggi ci portano lontano da ciò che ci radica. In merito lo scienziato Oliver Sacks ci regala una preziosa riflessione: “Conoscere la mia unicità e la mia antichità biologica, sapere che sono biologicamente imparentato con tutte le altre forme di vita, mi riempie di gioia. Questa conoscenza mi radica, permette che io mi senta a casa nel mondo della natura”. La vera rivoluzione deve nascere nella nostra mente, nel modo di percepire le altre forme di vita, nel nostro approccio a una catena di cui facciamo parte e che non comandiamo, solo così saremo in grado di convivere con le piante. Potremmo abitare case ricoperte di verde, o lavorare in un ufficio-foresta: di fronte a noi c’è un oceano di possibilità che aspetta solo di essere solcato, e chissà se saremo così fortunati da trovare alghe speciali o coralli magici. Per il momento ci basta scrutare l’orizzonte.

 

Greta 5A

 

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