di Alessandro M. (5A – 2020-21)

Il “Dialogo della Natura e di un islandese” è uno scritto facente parte delle “Operette morali” di Leopardi. Questo intenso dialogo riflette sulla crudeltà della natura, la quale tormenta incessantemente gli uomini con disastrosi fenomeni naturali e terribili malattie. L’immagine della natura che ci viene restituita è quella di una crudele matrigna che mette al mondo i propri figli con il solo scopo di farli soffrire. Essa ci invita come ospiti alla sua grande casa, promettendoci cose meravigliose e dandoci nei verdi anni giovanili radiose speranze, che in definitiva si rivelano solo dei meschini inganni. La Natura stessa risponde alla pesante accusa dicendosi indifferente ai sentimenti degli uomini, collocando il suo agire in un contesto meccanicistico, in cui la distruzione è necessaria tanto quanto la creazione.

FILOSOFIA/ Maurice Blondel, colui che raccontò l'uomo fra i suoi limiti e l'infinitoQuesta eccezionale operetta fu scritta nel 1824, e da quel momento non ha mai smesso di rivelare la sua sconfinata potenza, che si è dimostrata sciolta da vincoli temporali. Queste amare riflessioni filosofiche sono infatti più che mai applicabili ai nostri tempi di pandemia. Cos’altro è questo virus che affligge tutti noi, se non l’ennesima prova di efferata crudeltà da parte della natura? Anche se, in effetti, essa resta pur sempre indifferente alla nostra sofferenza. La triste verità è che questo virus non è una punizione divina, né tantomeno una prova inviataci da un ente superiore. Questo virus è semplicemente l’ennesimo essere vivente che afferma la sua volontà di vivere a discapito degli altri. Il coronavirus è incosciente di tutto quello che fa. Ad esso non importa dell’amore che si prova verso una persona a noi cara, o dei nostri piani di vita. La questione diventa straziante pensando in particolar modo a vecchi e giovani. Queste povere creature si ritrovano private dei loro ultimi anni di vita nel caso dei vecchi, e dei migliori e più spensierati per quanto riguarda i giovani. Nel mio caso specifico, io, ormai quasi diciottenne, sento che mi è stato sottratto un intero anno di vita. Ma soprattutto, ci è stata tolta la possibilità di vivere accanto alle persone a noi care. Eppure sebbene la colpa sia da imputare al COVID, appare evidente il fatto che questa malattia sia completamente indifferente a tutto ciò che riguarda le nostre inutili dinamiche umane. Le nostre gioie e i nostri dolori non contano nulla. Quindi a livello razionale risulta impossibile prendersela con un virus incosciente che cerca solo di sopravvivere, allo stesso modo di noi, fragili foglie marroni immerse nella bufera che è la vita. 

Quindi, in definitiva, di chi è veramente la colpa di tutta questa ingiustizia e sofferenza? È forse di quel onnipotentemente impotente Dio, che amorosamente si gode lo spettacolo di questa strage mondiale? C’è almeno qualcuno che ricava qualche giovamento dalle nostre sofferenze, il quale si prenderà finalmente la responsabilità di tutte queste lacrime? 

Probabilmente la risposta è da trovarsi nell’assenza di risposte. Niente ha senso: né la vita, né l’amore, né il dolore, né la morte, né l’origine prima dell’esistente. Purtroppo, in ultima istanza, tutto questo dolore diventa un qualcosa di inutile e di profondamente irrilevante.

Ma in fin dei conti, non è forse ciascuno di noi un ente transeunte del tutto insignificante?