di Ivan C. (5F – 2019/20)

Alcuni romanzi sono destinati, ancor prima di essere scritti, a riscuotere successo, altri ancora ad essere gettati nel dimenticatoio. Vi è però anche un’altra categoria, costituita da quei rari casi che sono in grado di smuovere lettori di ogni epoca: uno fra questi è “Delitto e castigo”.

Opera concepita dal genio di Fyodor Mikhailovich Dostoevsky e considerata uno dei pilastri della letteratura russa, fin dalla sua pubblicazione ha suscitato grande scalpore, e ancora oggi è oggetto di numerosi studi e analisi.

La storia è incentrata sulla figura di Raskòlnikov, un ex studente di legge che ha abbandonato la facoltà per problemi economici, e che vive in povertà in un piccolo appartamento di San Pietroburgo. Dopo aver lasciato l’università, il giovane premedita un atto sconsiderato che segnerà per sempre la sua esistenza: l’assassinio di un’anziana usuraia con la quale è in debito. Dovrà però fare i conti con la propria coscienza, ingaggiando una lotta interiore che determinerà l’intero sviluppo del romanzo. Costantemente terrorizzato da un possibile arresto, il protagonista sprofonda nella depressione e nella paranoia, alle quali pone rimedio con l’amore di Sonja, un’anima pura costretta a prostituirsi per sfamare la propria famiglia. Grazie a lei, si avvierà verso un lungo cammino di redenzione, il cui culmine sarà la confessione del delitto.

Le descrizioni dei luoghi e dei personaggi ci regalano un affresco della Russia dell’epoca, attraversata da un divario sociale senza precedenti, con gran parte della popolazione sotto la soglia della povertà, e quindi obbligata a ricorrere ad azioni disperate come il furto e l’omicidio. Il susseguirsi degli eventi è popolato da un gran numero di personaggi secondari, tra cui Katerina Ivanovna Marmeladova, vedova tisica che sarà colta dalla pazzia, e Porfirij Petrovic, giudice istruttore incaricato di risolvere il caso.

Risulta quasi impossibile associare questo libro ad uno specifico genere letterario, tanto sono variegati i temi che emergono. Viene trattata la psicanalisi, sulla quale Dostoevskij anticipa lo stesso Freud, e il nichilismo, corrente ideologica molto diffusa nella Russia dell’Ottocento.

Il nocciolo centrale di questo capolavoro resta tuttavia l’esistenzialismo cristiano. Raskòlnikov decreterà infatti la sua sorte per una vana ricerca della gloria, che può essere raggiunta solo attraverso l’adempimento di imprese straordinarie. L’omicidio dell’usuraia costituisce per lui una dimostrazione del suo essere un uomo “eccezionale”, al di là del bene e del male. Solo al termine delle vicende sarà consapevole dei limiti umani e morali imposti, che non possono essere varcati, e attraverso il pentimento e il dolore conseguirà un rinnovamento interiore, dall’altro canto soffrire e piangere significa vivere…