di Ivan C. (5F – 2019/20)

Nel corso dei decenni, celebri autori del calibro di Luigi Pirandello e Truman Capote, hanno cercato di concepire un’opera in grado di incarnare lo spirito natalizio, un’impresa portata a compimento soltanto da Charles Dickens nel “Canto di Natale”.

Romanzo breve, pubblicato nel 1843, a distanza di quasi due secoli continua ancora a commuovere milioni di lettori.

Il protagonista è un avaro finanziere di Londra, Ebenezer Scrooge, una figura egocentrica e misantropa. Il suo carattere sprezzante raggiunge il culmine durante il giorno della vigilia di Natale, in cui evita sistematicamente i pranzi di famiglia e costringe il suo impiegato, Bob Cratchit a lavorare senza tregua. Una vigilia non sarà però come tutte le altre. Al suo ritorno a casa ci sarà il fantasma di Jacob Marley, suo caro amico, nonché socio in affari, morto sette anni prima. Lo spettro, avvolto da catene, lo informa che gli faranno visita tre spiriti, con lo scopo di spingerlo a cambiare vita. Il primo, che rappresenta i Natali passati, gli mostra la sua infanzia, solcata dal dolore per la morte della madre, dalla solitudine, e dalla fine della sua relazione con Bella. Il secondo, invece, un allegro gigante dai modi gentili, gli permette di osservare il Natale presente vissuto dagli altri, in particolare dal nipote, l’unico ad interessarsi ancora a lui, e da Bob Cratchit, con una famiglia numerosa e un figlio terribilmente malato. Viene fatta visita anche ad un gruppo di minatori, al guardiano di un faro oltreoceano, e a dei marinai, che cercano di dimenticare le loro sventure, scambiandosi reciproci auguri e intonando canti natalizi. L’ultimo spirito, altri non è che la morte personificata, attraverso cui il protagonista assiste alla propria dipartita, accolta con allegria dagli abitanti della città. Al suo risveglio, Scrooge comprende di poter ancora modificare il corso degli eventi, inizia quindi a condividere le proprie ricchezze e da allora “si disse sempre di lui che sapeva festeggiare degnamente il Natale”.

Attraverso una narrazione coinvolgente e uno stile impeccabile, Dickens ci trasporta letteralmente in una favola senza tempo, il ritratto di una giornata capace, ogni 25 dicembre, di risollevare il morale collettivo. I colori, le luci, e soprattutto gli odori sono i veri protagonisti, dandoci l’illusione di partecipare alle vicende, tanto sono minuziose e ricche di particolari le descrizioni. Inoltre, è grazie all’ olfatto che Scrooge riuscirà a ripercorrere la propria infanzia, iniziando a riflettere sul proprio passato. Il ricordo funge da elemento scatenante, gli consente di interrogarsi sulle decisioni prese e sulle occasioni mancate. Ed è proprio questo uno dei pilastri del romanzo: l’uomo nel tempo, l’equilibrio tra le varie fasi della vita, in continua evoluzione.

Il “Canto di Natale” è la storia  di un uomo alla ricerca di sé  stesso, che accetta di rinnegare tutto ciò per cui ha disperatamente lottato per rivivere attimi di felicità, per recuperare  le emozioni perdute.

Un uomo che, nonostante l’età, e i gravi errori commessi, non vuole arrendersi all’oblio. Scrooge tenterà quindi di riscrivere il proprio destino. Per farlo, ritornerà in un certo senso bambino, comincerà ad urlare a squarciagola per le strade, senza dare peso al giudizio dei passanti, a provare piacere per dei semplici giochi di gruppo. Diviene un vero e proprio inno alla vita.

Emerge inoltre il tema del divario sociale nella Londra vittoriana che, come si rileva in tutti i suoi lavori, è particolarmente caro a Dickens. All’interno del romanzo, possiamo distinguere due poli opposti della stessa città: vi è quella borghese, centro dell’economia e del commercio, e un’altra invece contraddistinta dalla miseria e dal degrado.

Risulta quasi impossibile non elogiare questo capolavoro, un’opera che è al contempo romanzo di denuncia, di formazione racconto fantastico. Una storia che insegna a non arrendersi, dal momento che non si può scegliere il modo di morire, o il giorno, ma si può decidere come vivere, ora…