IL CENTENARIO DELLA NASCITA DI PIERPAOLO PASOLINI

“La più grande attrazione di ognuno di noi è verso il passato, perché è l’unica cosa che noi conosciamo e amiamo veramente”. E’ questa una delle frasi più celebri di Pierpaolo Pasolini; bizzarra, se si pensa che a pronunciarla è stato un uomo da sempre proiettato nel futuro.

Lo scorso 5 Marzo si è celebrato il centenario di Pasolini. “Celebrato”: una parola buffa, considerando che, quand’era ancora in vita, veniva soprannominato “L’intellettuale scomodo”. Era più tollerato che amato, Pasolini; forse per il suo orientamento sessuale, forse per la sua sorprendente modernità, per la sua instancabile controversia.

Il poeta è infatti secondo molti una figura discussa e contraddittoria: è in particolare il suo orientamento politico (inteso nel suo significato più ampio e non in quello limitato alle attività di palazzo che tanto detestano molti di noi) che spesso viene ignorato favorendo un’interpretazione creativa dei suoi scritti e delle sue dichiarazioni. Sia a destra che al centro che a sinistra si tenta di torcere ciò che ha scritto Pasolini, estrapolando eventi e frasi che dimostrano la sua profonda fede cattolica, il suo essere un conservatore nonostante fosse attivista comunista. Sopra ogni accusa e tentativo di modificare l’immagine del Poeta, spicca un argomento che, ai nostri occhi, lo rende un personaggio terribilmente contorto.

                                    

La diceria più diffusa è quella sull’appoggio alle forze dell’ordine negli scontri del ’68. L’articolo in versi sempre menzionato è “Il PCI ai giovani!!”, apparso sul settimanale L’Espresso. La porzione citata è quella dove dichiara di essere dalla parte della polizia piuttosto che dei manifestanti, che studiavano all’università:

 

       “Quando Ieri a Valle Giulia avete fatto a botte

       coi poliziotti,

       io simpatizzavo coi poliziotti”

 

Ad una prima lettura questa citazione è effettivamente interpretabile come un appoggio a chi non stava lottando per un movimento e degli ideali del ’68. Leggendo il testo, tuttavia, si nota che effettivamente il poeta non vuole sostenere le forze armate contro gli studenti:

      

       “Perché i poliziotti sono figli di poveri.”

 

Il poeta contestualizza i poliziotti e i manifestanti universitari in due classi sociali, la classe subalterna alla seconda, quella degli operai, dei poliziotti mandati e controllati dallo stato e la classe piccolo borghese degli studenti, privilegiata e potente.

 

       “E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci,

       […]

       Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia.

       […]

       A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento

       di lotta di classe: e voi, cari (benché dalla parte

       della ragione) eravate i ricchi,

       mentre i poliziotti (che erano dalla parte

       del torto) erano i poveri.”

 

Questa frequente citazione è la più confusa ma soprattutto manipolata. Alla disperata ricerca di legittimazione da parte dell’ambito intellettuale, alcuni hanno ritrovato questa frase, l’hanno estrapolata dal suo testo originale, e la presentano come una dimostrazione che anche il grande Pasolini era dalla loro parte, dalla parte delle forze dell’ordine contro i manifestanti, dalla parte di chi attacca, il violento, il forte, ma mancando il reale significato: il Nemico non sono le persone che recitano la parte a loro assegnata, ma l’organizzazione che li manda, che li sfrutta, che li controlla.

 

Abbiamo dunque dimostrato la sua singolare capacità di interpretare la realtà fuori dagli schemi, la sua sorprendente modernità. Modernità che si evince in quasi tutte le sue opere: “Mamma Roma”, “La ricotta”, e in particolare “Comizi d’amore”, pellicole censurate o proiettate in pochissimi cinema.

Pasolini sembra quasi essere nato nel secolo sbagliato, talvolta: le domande che pone, la sua mordacia e malcelata ironia. Le sue interviste in “Comizi d’amore”, ad esempio, rappresentano non solo un grande atto di coraggio, ma anche una condanna alla società degli anni ’60. Il documentario, infatti, presenta domande su temi quali il sesso, il divorzio –ancora illegale al tempo- e l’omosessualità, ed è costellato di sarcastici commenti sulla mentalità dell’epoca. Pasolini osteggia l’imbarazzo degli italiani, lo scandalo dipinto sui loro volti, definendoli “psicologicamente incerti, praticamente conformisti”. Davanti a risposte particolarmente sconcertanti del popolo, quali “l’omo è l’omo… si dice che porta il cappello, no? Ma la donna deve stare riservata in sé…. Perché quando l’uomo incontra la donna lei deve stare riservata, non può fare mica quello che le pare e piace!”, Pasolini sembra quasi prendersi gioco degli intervistati, tramite domande retoriche o una sfilza di “E perché?”.

E’ un documentario impressionante, “Comizi d’amore”, una pellicola a cui chiaramente la società degli anni ’60 non era pronta. Ma a vederlo adesso, sentendo risposte aberranti e storie agghiaccianti, si riesce a cogliere quanto si sia evoluta la nostra nazione da allora. Non si tratta solo di un enorme divario temporale, ma anche geografico: il documentario infatti attraversa tutta l’Italia, dalla Sicilia fino in Lombardia; e sorprende quanto la vita fosse diversa in questi due piccoli mondi. Le donne, che a Milano invitavano gli uomini a ballare, in Calabria non potevano uscire di casa, perché “perduta la loro verginità, è perduto tutto”. Citando Oriana Fallaci, il Sud era semplicemente “un altro pianeta”.

Parlando di geografia, Pasolini ha lasciato il segno anche nella nostra città, Ciampino. Ha insegnato nelle nostre scuole per 3 anni, dal ’52 al ’55, ed è stato un personaggio importante per il nostro comune, tanto da guadagnarsi una targa nel centro e il nome della nostra biblioteca.

Pasolini è stato indubbiamente un poeta, un regista e uno scrittore considerato controverso, screditato da molti, disprezzato da tanti; e tuttavia, è un uomo che ha fatto la storia della nostra nazione. Lo ricordiamo quest’anno, al centenario della sua nascita, e continueremo a ricordarlo l’anno prossimo, e l’anno successivo, e perfino tra altri cento anni. Perché, come diceva lui stesso, “La morte non è nel non poter più comunicare, ma nel non poter più essere compresi”; e proprio per questo, il suo ricordo sarà immortale.

Francesca ed Ettore II SINT